Quando osserviamo un fenomeno non lo percepiamo mai in maniera diretta ma sempre tramite un modello di analisi. Sarebbe ingenuo pensare che qualcosa come la colorazione esiste al di fuori della nostra percezione ed infatti sappiamo che si tratta solo dell'interpretazione che il cervello dà di un'onda nel momento in cui viene a contatto con gli occhi.
Esiste un indovinello zen molto sfizioso che suona più o meno così: "se un albero cade nella foresta e non c'è nessuno nei dintorni che lo possa sentire, fa rumore?"
Ad intuito, forti della nostra concezione newtoniana dell'universo che vede un fenomeno come esistente in assoluto al di fuori della sua percezione, verrebbe da rispondere di sì. Allo stesso tempo un Orientale direbbe che l'universo esiste solo nella nostra testa e che un evento avviene esclusivamente se percepito. La sua risposta all'indovinello sarebbe quindi un no. Modelli diversi arrivano, in questo caso, a conclusioni opposte.
Personalmente ritengo entrambe le risposte vere e false allo stesso tempo. Questa ambiguità deriva dal fatto che i soggetti che rispondono sì o no non hanno colto la vera domanda insita nell'indovinello che, a mio parere, è: che cos'è il rumore? In fondo quello che viene chiesto è se questo esiste o meno al di fuori di noi, ma come possiamo pronunciarci se non ne comprendiamo appieno la natura?
Sappiamo che il suono che "sentiamo" è in realtà solo la percezione di un fenomeno, nel caso specifico di una vibrazione che, propagandosi attraverso delle onde, finisce per colpire i nostri timpani. Questi trasformeranno attraverso passaggi complessi la vibrazione in impulsi elettrici che, a loro volta, saranno interpretati nel modo appropriato dalla zona del cervello preposta all'udito. Cosa intendiamo, allora, con la parola "rumore"? La percezione del fenomeno od il fenomeno stesso? Il suono o la vibrazione? Sebbene possa apparire come una questione di poco conto appoggiare una definizione o l'altra cambia completamente la risposta dell'indovinello.
Sembra una battuta ma attraverso un ragionamento di questo tipo è facile comprendere che l'unica risposta buona alla domanda posta inizialmente è: "sì e no". La soluzione cambierà a seconda dell'atteggiamento dell'osservatore. In fondo questo è il cuore delle teorie quantistiche. Esse non fanno altro che ripetere che la natura di un fenomeno cambia a seconda di chi e come lo osserva.
Nella vita, però, abbiamo bisogno di certezze. L'essere umano è per sua natura limitato e non riesce a gestire una risposta assoluta ed omni comprensiva. E' come se vivesse sulla superficie di un diamante potendo stazionare solo su di una faccia alla volta. Nell'arco della sua vita qualche individuo che si è spostato più degli altri intuirà la natura relativa delle singole sfaccettature, ma questo non vuol dire che potrà liberarsi dalla limitazione di trovarsi solo su una di esse in ogni dato momento. La consapevolezza raggiunta sarà comunque sufficiente a fargli capire che prendere una parte per la totalità è una cosa stupida e, a mio modesto parere, è proprio questo che il Buddismo individua come Nirvana. La serenità interiore si raggiunge nel momento in cui ci rendiamo conto che nessuna posizione è sempre vera ed assoluta, ma tutte possono essere valide in determinate circostanze. In fondo i veri illuminati (ed ovviamente non mi riferisco a quelli bavaresi) ripetono costantemente che l'unico vero insegnamento consiste nella comprensione dell'unicità dell'essere.
Esiste un indovinello zen molto sfizioso che suona più o meno così: "se un albero cade nella foresta e non c'è nessuno nei dintorni che lo possa sentire, fa rumore?"
Ad intuito, forti della nostra concezione newtoniana dell'universo che vede un fenomeno come esistente in assoluto al di fuori della sua percezione, verrebbe da rispondere di sì. Allo stesso tempo un Orientale direbbe che l'universo esiste solo nella nostra testa e che un evento avviene esclusivamente se percepito. La sua risposta all'indovinello sarebbe quindi un no. Modelli diversi arrivano, in questo caso, a conclusioni opposte.
Personalmente ritengo entrambe le risposte vere e false allo stesso tempo. Questa ambiguità deriva dal fatto che i soggetti che rispondono sì o no non hanno colto la vera domanda insita nell'indovinello che, a mio parere, è: che cos'è il rumore? In fondo quello che viene chiesto è se questo esiste o meno al di fuori di noi, ma come possiamo pronunciarci se non ne comprendiamo appieno la natura?
Sappiamo che il suono che "sentiamo" è in realtà solo la percezione di un fenomeno, nel caso specifico di una vibrazione che, propagandosi attraverso delle onde, finisce per colpire i nostri timpani. Questi trasformeranno attraverso passaggi complessi la vibrazione in impulsi elettrici che, a loro volta, saranno interpretati nel modo appropriato dalla zona del cervello preposta all'udito. Cosa intendiamo, allora, con la parola "rumore"? La percezione del fenomeno od il fenomeno stesso? Il suono o la vibrazione? Sebbene possa apparire come una questione di poco conto appoggiare una definizione o l'altra cambia completamente la risposta dell'indovinello.
Sembra una battuta ma attraverso un ragionamento di questo tipo è facile comprendere che l'unica risposta buona alla domanda posta inizialmente è: "sì e no". La soluzione cambierà a seconda dell'atteggiamento dell'osservatore. In fondo questo è il cuore delle teorie quantistiche. Esse non fanno altro che ripetere che la natura di un fenomeno cambia a seconda di chi e come lo osserva.
Nella vita, però, abbiamo bisogno di certezze. L'essere umano è per sua natura limitato e non riesce a gestire una risposta assoluta ed omni comprensiva. E' come se vivesse sulla superficie di un diamante potendo stazionare solo su di una faccia alla volta. Nell'arco della sua vita qualche individuo che si è spostato più degli altri intuirà la natura relativa delle singole sfaccettature, ma questo non vuol dire che potrà liberarsi dalla limitazione di trovarsi solo su una di esse in ogni dato momento. La consapevolezza raggiunta sarà comunque sufficiente a fargli capire che prendere una parte per la totalità è una cosa stupida e, a mio modesto parere, è proprio questo che il Buddismo individua come Nirvana. La serenità interiore si raggiunge nel momento in cui ci rendiamo conto che nessuna posizione è sempre vera ed assoluta, ma tutte possono essere valide in determinate circostanze. In fondo i veri illuminati (ed ovviamente non mi riferisco a quelli bavaresi) ripetono costantemente che l'unico vero insegnamento consiste nella comprensione dell'unicità dell'essere.
Tutti i modelli sono potenzialmente buoni, ma le circostanze contingenti ne rendono alcuni più efficaci di altri. In questa sede parlo di modelli socio-economici e viene da chiedersi come si possa riconoscere quello più adatto al nostro particolare momento storico. Ritengo che esista solo un criterio per determinare la validità dei vari modelli possibili: la capacità di formulare previsioni attendibili.
Prendiamo il caso della recente crisi economica. L'inadeguatezza dell'attuale modello appare lampante se consideriamo che non è stato in grado di prevedere la sua fase discendente se non quando era ormai impossibile cambiare rotta. E' il momento di modificare il punto di vista, di sostituire buona parte degli assunti attraverso cui decodifichiamo la realtà. La nuova posizione non sarà mai definitiva dato che nessun modello resta il migliore per sempre. Un'economia in cui il processo di emissione di moneta tiene conto della definizione di signoraggio che trovate in questo blog e che io riprendo dalle tesi auritiane, non potrebbe, per la stessa definizione di modello, essere eterna. Probabilmente arriverebbe un momento in cui nuovi problemi richiederebbero nuove soluzioni, e chissà che non si arrivi un giorno ad eliminare completamente il concetto di denaro. Ciò non toglie che lo considero, allo stato attuale, la soluzione migliore. Esso è, infatti, in grado di dare una spiegazione logica e razionale ai cicli del mercato caratterizzati da sistematiche crisi potendone quindi prevedere l'avvento. Attualmente il modo in cui ci approcciamo all'analisi di tali fenomeni è talmente lacunoso che siamo arrivati ad ammettere la nostra ignoranza sull'argomento definendoli "fenomeni naturali" al riguardo dei quali, di conseguenza, abbiamo un'influenza praticamente nulla.
Abbiamo considerato il sistema attuale come assoluto, ovviamente non dobbiamo commettere lo stesso errore con la soluzione che proponiamo. Per tornare allo spunto iniziale, solo quando saremo consapevoli del fatto che l'unica vera risposta ad ogni domanda secca è "forse" potremo passare dal "sì" al "no" e viceversa senza soluzione di continuità adottando di volta in volta e di caso in caso la posizione che permette di ottenere i risultati migliori.
ErSandro.
7 commenti:
Ineccepibile
Attenzione!!! Il mio ineccepibile era per il post di ErSandro
Grazie e a buon rendere.
Un0analisi molto acuta ed equilibrata.
Grazie anche a te Zret, è sempre un piacere vedere che mi segui.
Ti ho citato in un articolo che pubblicherò nei prossimi giorni, ovviamente in termini lusinghieri.
Ciao
Non vedo l'ora di leggerlo.
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